Monte di Mezzo di Campotosto

In piena estate, un clima quasi autunnale, l'ideale per vivere la Laga vera.

Un anello grandioso con affaccio sul lago.


Le cose belle molte volte sono quelle più semplici e Marina che è affezionata alle montagne di casa lo sa bene, è da un po’ che propone di tornare sul Monte di Mezzo di e da Campotosto e tutte le volte ha ottenuto solo la mia sufficienza; è più forte di me, se si riparla di Laga dopo tanto tempo che ci sto lontano le suggestioni non mi vengono (e brava Marina che non si è fatta scoraggiare). Come tutte le volte che ci ritorno poi la mia sufficienza si spegne subito ed anche questa volta è andata così, quella di oggi è stata una lunga escursione panoramicissima, un anello di grande soddisfazione, con un contatto con la natura e la montagna di prim’ordine; ma andiamo per gradi iniziando a raccontarla questa giornata. Raggiungiamo Campotosto da Ascoli Piceno, è una giornata estiva dal sapore autunnale, aveva piovuto, si era ripulito, ma sulle montagne si respirava quell’aria di instabilità che poteva aprirsi a tutto; superiamo la tristezza della zona intorno ad Amatrice, anche le montagne non ci aiutavano a sollevarci d’umore, una densa cappa grigia le sovrastava dai 1700 mt in su; bellissimi gli altopiani al confine tra Lazio ed Abruzzo, tra Amatrice e Poggio Cancelli, prati verdi, boschi e animali al pascolo sapevano di normalità. Normalità che si riperde ben presto quando scendiamo a Poggio Cancelli, quando oltrepassiamo Campotosto; questo angolo di mondo meraviglioso affacciato sul lago, con vista sul Corvo e le montagne del Gran Sasso si risolleverà mai? Superiamo Campotosto, scendiamo i tornanti fino a raggiungere la chiesa di Santa Maria Apparente, ingabbiata ma per fortuna ancora in piedi, parcheggiamo nel piazzaletto antistante. Ripercorriamo indietro un centinaio di metri la strada che sale a Campotosto, superato il ponte sul Rio Fucino alle spalle della chiesa, subito sulla destra, prendiamo una strada sterrata, all’angolo c’è una palina con della segnaletica che conferma l’inizio del sentiero. Poche centinaia di metri e si guada il piccolo torrente, la traccia continua sull’ampia carrareccia all’interno della larga valle, qua e là qualche segnale bianco-rosso si intuisce ancora sui tronchi di qualche piccolo albero. L’orizzonte rimane chiuso, le creste delle montagne di fronte si perdono nel ristagno delle basse nuvole, continuiamo in direzione Nord-Est tra una radura di ginestre e bassi arbusti, non servono i segnavia tanto è chiara la traccia, anche se ogni tanto qualche paletto d’acciaio di recente fattura, ci conferma la direzione. Quasi a quota 1500 si gira verso destra, bandierine su un paletto ed una roccia a terra, a dire il vero poco evidente, indicano la nuova direzione del sentiero, verso Est, dove con svariati tornanti si inizia a salire un costone di arenaria scavato dal dilavamento delle piogge ora all’interno di una boscaglia più consistente; di fronte, molto evidente, sale la più massiccia boscosa dorsale di Costa Sola che raggiunge le creste sommitali. La boscaglia si fa bosco, il sentiero ora più largo è contraddistinto dalle tipiche arenarie acciottolate e sfogliate della Laga, forniscono la materia prima per i tanti grossi omini che incontriamo in questo tratto, guadagniamo decisamente quota tra i primi colori autunnali di questa stagione. Quando il sentiero si appiattisce di nuovo siamo quasi per uscire dal bosco, poco prima ci imbattiamo in un tratto di sotto bosco strapieno di lamponi, inutile dire che la sosta è gradita e ci facciamo un gran scorpacciata. Usciamo dal bosco quasi a quota 1800 mt, la traccia ora sottile e quasi nascosta dall’erba alta si defila a lato della dorsale che prende a salire marcatamente, traversiamo e ci infiliamo nel Fosso di Prato Andolino, non certo uno dei più spettacolari della Laga ed oggi anche quasi secco tanto che si fa guadare senza difficoltà alcuna. All’altezza del fosso il sentiero vira con decisione verso Nord, riprende a salire dolcemente prima su tratti erbosi e poi allargandosi su un tratto “sfogliato” bellissimo, con l’arenaria che è stratificata in fogli sottilissimi, suggestivo questo tratto anche perché ci si inizia ad affacciare sulla valle fino al lago di Campotosto. Le nuvole nel frattempo sembrano diradarsi un po’, qualche fazzoletto di azzurro qua e la lascia sperare, ogni tanto alle nostre spalle riusciamo ad intravedere anche la croce di vetta del Monte di Mezzo, sta a vedere che alla fine riusciamo anche a chiudere l’anello che avevamo programmato!! Il lungo traverso, degradando lentamente, si chiude sulla sella della Laga, il sentiero continua sul versante opposto, verso Cesacastina, a Nord la cresta si alza con decisione verso le Cime della Leghetta che sono nascoste tra le nuvole. Lo è meno la cresta verso Sud-Est che iniziamo a salire senza sentiero, procedendo a vista guidati dalla linea di dorsale e dai soliti paletti. Già poco sopra la sella si iniziano a scoprire verso Nord i profili della Costa delle Troie e più lontano quelli dei Monti Gemelli, ad Ovest la presenza del Lago di Campotosto è l’elemento preponderante del paesaggio; la luce quasi non c’è, le nuvole si sono alzate ma la cappa rimane pesante, nonostante nell’aria ci siano toni spenti è davvero bello il panorama che abbiamo intorno. Seguiamo la cresta erbosa in una serie di lunghi saliscendi, i soliti paletti in metallo indicano il sentiero ma sia la larga dorsale che la sagoma del Monte di Mezzo verso Sud non lasciano dubbi sulla direzione; raggiungiamo quello che solitamente è definito il passaggio chiave dell’escursione, un gendarme roccioso molto ripido. Delle grosse bandiere bianco-rosse alla sua base non lasciano dubbi su come superarlo; a destra scende una polverosa cengia che taglia il ripido versante, più avanti si perderà però in delle sparute e meno facili tracce più adatte alle capre che a noi bipedi. Il traverso fino al fosso è lungo ed occorre in alcuni momenti prestare molta attenzione, il pendio è ripido e gli appigli sono pochi, nulla di trascendentale ma il rischio di scivolare sul minuto pietrisco o peggio ancora in alcuni tratti sull’erba, esiste. Attenzione, in caso di pioggia non dovrebbe essere simpatico affrontare questo tratto. Va detto che in corrispondenza della dorsale il gendarme precipita verticale con un muro di circa quattro metri, tropo liscio e con pochi appigli per essere affrontato in sicurezza, ma appena scesi qualche metro sulla cengia credo sia possibile arrampicare e aggirarlo con facilità fino alla dorsale una trentina di metri sopra, la pagina è appoggiata ed è formata da erba e pietre che possono fornire appigli, certo è vietato cadere ma arrivando preparati e non facendosi distrarre dalla strada maestra consigliata dalle bandierine è sicuramente fattibile. In ogni caso superiamo il traverso, saliamo l’ultimo tratto di un fosso e sbuchiamo su una sella che preannuncia la dorsale fino al Monte di Mezzo la cui cima raggiungiamo senza alcuna ulteriore difficoltà se non quella di essere frustati da un forte, teso e freddo vento che una volta allo scoperto ha inizia a soffiare con violenza. In cresta, ormai quasi in vetta, il panorama è davvero mozzafiato, si allarga verso Sud, su tutte le più alte vette del Gran Sasso, fino al Camicia percepibile tra le nuvole; anche il lago è ormai interamente a vista, agitato dal vento che dipinge striature a pelo d’acqua e illuminato dal sole che gioca a nascondino con le nuvole, rimanda colori dalle tante sfumature. Si intuisce anche il mare ad Est, confuso nella foschia e nelle nuvole, ed i Terminillo ad Ovest, se non fosse per questo cavolo di vento freddo che ci costringe ad abbassarci dentro una valletta sotto la vetta, sarebbe da stare a lungo su questa cima. Il tempo di una sosta mangereccia e ripartiamo verso Sud per cercare di chiudere l’anello programmato, camminiamo costantemente in cresta per un lungo tratto e ormai sempre in discesa, i panorami sono sempre più belli anche perché il vento nel frattempo ha sparpagliato le nuvole, il lago è ricco di riflessi blu e di lampi di luce dovuti al sole che gioca con le onde, e verso Sud si allineano uno accanto all’altro i colossi del Gran Sasso, dal Corno Grande e Piccolo fino al San Franco passando per l’Intermesoli ed il Corvo, è davvero un palinsesto notevole. Su una traccia sempre evidente ( e comunque gli immancabili paletti con le bandierine bianco- rosse sono disposti in maniera che si possa vedere sempre il successivo) l’escursione è diventata una leggera passeggiata; anche se ancora lontana dall’essere chiusa è davvero divertente, ariosa, costantemente panoramica, la temperatura fresca aiuta non poco, vorremmo non finisse mai. Tocchiamo Colle del Vento che si alza di poco oltre i 2000 esattamente sul filo della dorsale e riprendiamo a scendere seguendone il filo; con un lento giro devia sulla destra, verso Ovest, continuiamo a seguirla perdendo quota fino ad una sella che risaliamo fin quasi ad arrivare al bosco. I paletti e la traccia a terra smettono di seguire la dorsale e obliquano a Sud dentro la valle sottostante, consultiamo la carta e non ci piace che il sentiero si allontani dal nostro rientro; compie un grande giro verso Sud per riconvergere poi verso Nord con una manciata di chilometri in più rispetto alla linea che volevamo tenere. Decidiamo di fare di testa nostra, un po’ di avventura non guasta mai, soprattutto tra le pieghe della Laga. Arriviamo al limite della dorsale erbosa dove inizia il bosco, scegliamo quello che ci sembra il miglior punto di accesso e ci inoltriamo nella vegetazione, prima molto cespugliosa e poi una volta dentro pulita e facile da attraversare. Cerchiamo da subito di piegare verso Nord per accorciare un po’ il rientro, qualche traccia di calpestio ci illude di trovare un sentiero battuto, alcuni nastri legati ai rami ce ne danno anche la sicurezza ma dura poco ed è effimera, ben presto dobbiamo affidarci solo ai nostri sensi. Era facile non perdere la direzione, la presenza del lago anche se nascosto dagli alberi si sentiva, dalla parte opposta si intuiva la lunga dorsale principale, dovevamo solo aggirare i tratti ripidi di pendio e mantenere la rotta a Nord-Ovest. Superato il tratto iniziale più ripido ci infiliamo dentro quello che sembra una via di mezzo tra un largo fosso ed una pista dei boscaioli, traversa a lungo e si abbassa gradualmente, pensiamo ci conduca fino in basso ma poi si perde, ritorniamo a ragionare basandoci sui nostri sensi e a scegliere di volta in volta le linee che ci sembrano migliori. Dopo una mezz’ora di bosco e di decisioni da prendere, una volta valevano le mia, altre quelle di Marina, si intuisce in lontananza una “rassicurante” bandiera bianco-rossa su un grosso faggio; non rimaneva che raggiungerla per ritrovare il sentiero principale. Non male la decisione che abbiamo preso, eravamo riusciti a ridurre non di poco il percorso. Ormai bassi, trecento metri sopra il lago che ritornava padrone dell’orizzonte, rimanevano quasi due chilometri da percorrere, un lungo traverso verso Nord che scendeva gradualmente di quota, prima di raggiungere la strada asfaltata. Oltre, lo sapevamo, ci toccava la parte più brutta dell’escursione, altri due chilometri e forse qualcosa di più di strada asfaltata per chiudere l’anello fino alla chiesa di Santa Maria Apparente. Quindici chilometri ed un dislivello di 1200 mt in poco meno di 8 ore, una escursione panoramica e leggera, di sicuro appagante, nubi, nebbia, poi vento ed infine sole, per chiudere di nuovo con le nuvole e qualche goccia di pioggia; un regista sconosciuto ha voluto regalarci i momenti migliori mentre eravamo in cresta, il lago e le montagne hanno fatto il resto regalandoci vere cartoline. Tutte le volte che torno me lo ripeto tanto da farmelo diventare un mantra, non si può stare lontani dalla Laga per tutto questo tempo. Sarà la volta buona che lo capisco davvero?